Una storia d’amore d’altri tempi

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Quella che sto per raccontarvi è una storia d’amore d’altri tempi ed è la storia dei miei nonni.
Ho deciso di riportarla qui, nero su bianco, perché un giorno ho letto una frase di Erri De Luca che diceva: “da noi si scrivono le storie quando si è consumata la generazione che le ha ascoltate dalla viva voce”. Questa frase mi ha fatto riflettere.
Quante storie e aneddoti ci hanno raccontato i nostri nonni? E quante ce ne ricordiamo ancora?
È un peccato che vengano dimenticate, soprattutto le belle storie, quelle che meritano di essere raccontate e di essere tramandate a tutti coloro che hanno voglia di ascoltarle.
Rimpiango di non aver mai filmato i miei nonni mentre mi raccontavano questo episodio così bello della loro vita.
Però qualcosa posso ancora fare. Posso cercare nella mia memoria e provare a riportare alla luce questa bella storia, sperando di riuscire ad emozionarvi così come accadeva a me ogni volta che la sentivo dalla loro viva voce.
Le parole non saranno le stesse – il dialetto aviglianese l’ho tradotto in italiano per facilitarne la comprensione – e magari con il tempo qualche dettaglio si sarà perso nella mia memoria, ma questo è ciò che ricordo io della storia dell’amore ‘ritrovato’ di nonna Maria e nonno Canio.

Nel 1940 nonno Canio aveva 19 anni e faceva il militare a Potenza.
In quel periodo, nonna Maria e nonno Canio erano già fidanzati se così si può dire: ci furono sguardi, sorrisi e forse anche qualche parola. Ma mai da soli!
Da quando era partito come militare a Potenza non lo avevano mai fatto rientrare a Filiano. Dopo qualche mese, nonno fece domanda per entrare a far parte dei Carabinieri ausiliari, così fu trasferito a Palermo. Nel 1942 – sulla data non sono sicura – fu mandato in guerra in Albania.

Nell’aprile del 1939, in seguito alle mire espansionistiche di Benito Mussolini, l’Italia invase l’Albania: in breve tempo il re Zog fu costretto all’esilio e il paese fu annesso al Regno d’Italia come Protettorato Italiano del Regno d’Albania. L’occupazione italiana del Regno di Albania durò dal 1939 al 1943.
Il 1943 fu anche l’anno della caduta del regime fascista. Dopo l’arresto di Mussolini venne nominato Capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio, ex comandante delle forze armate. L’8 settembre dello stesso anno, Badoglio firmò l’armistizio con gli alleati. L’annuncio dell’armistizio gettò l’Italia nel caos e le truppe italiane, abbandonate a se stesse, non furono in grado di opporre ai tedeschi una resistenza organizzata. Molti furono i militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi e deportati in Germania nei campi di prigionia.

Tra questi tanti prigionieri ci fu anche nonno Canio, che dall’Albania venne portato in Germania dove fu costretto a lavorare e a vivere in condizioni pessime fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Nonno non parlava mai molto volentieri di quello che aveva vissuto in quel periodo, l’espressione sul suo volto s’incupiva quando noi nipoti gli chiedevamo di parlarci della guerra. La nostra era solo curiosità e non immaginavamo certo di riaprire profonde ferite, ma lui questo di certo lo sapeva.
Non dimenticò mai il viaggio sulla nave che dalla Sicilia lo portò in Albania, in guerra. Me lo immagino nonno su quella nave. Sull’isola ha lasciato i suoi sogni da ragazzo e ogni certezza della sua vita passata per andare incontro a un destino a lui del tutto sconosciuto: c’era la morte lì ad attenderlo? Avrebbe mai fatto ritorno a Filiano?
“Durante il viaggio ci fecero togliere gli stivali della divisa, ci fecero legare i lacci delle due scarpe e ce le fecero appendere al collo. Un’altra nave era partita prima della nostra, ma era stata attaccata e affondata. Poteva succedere anche a noi, quindi dovevamo essere pronti.

Come se far togliere loro gli stivali potesse salvargli la vita! Capisco perché nonno Canio ha sempre odiato il mare e, dopotutto, come dargli torto!

Per molti anni mia nonna non ebbe più sue notizie. Le poche novità che arrivavano dal fronte erano negative: quasi tutti i suoi coetanei partiti come lui erano deceduti.
Nel 1945, a guerra conclusa, nonno Canio fu liberato e fece ritorno a casa. Nonno era partito ragazzo ed era tornato uomo. Niente nella sua vita sarebbe stato più lo stesso. La terribile esperienza della guerra lo accompagnò per tutta la sua esistenza, ma aveva reso i problemi di vita quotidiana – che pure ci furono – sempre risolvibili, per quanto difficili potessero essere. Perché “chiu scura r’ la mezzanotte nun pot ess!”

Molti continuavano a ripetere a nonna che Canio non sarebbe più tornato, ma lei non perse mai la speranza. Avrebbe aspettato tutto il tempo che serviva.
Una mattina, com’era solito fare, nonna andò alla fontana a lavare i panni.
“Quel giorno c’era il sole e io ero davvero bella! Avevo i capelli raccolti in una lunga treccia. All’epoca avevo tanti capelli, pensa che la mia treccia era doppia quanto il mio polso! E poi avevo i capelli neri neri, non come li vedi ora!
Nonna si soffermava sempre su questo dettaglio. È sempre stata molto orgogliosa dei suoi capelli.
Io e le altre donne che erano con me alla fontana avevamo finito di lavare e stavamo per tornare a casa, quando alzai lo sguardo e lo vidi. Era nonno con la sua divisa da Carabiniere e con il cappello un po’ inclinato sul lato poggiato sulla testa, com’era solito portarlo lui. Pensavo che fosse un sogno, una visione, ma poi sentii che altri uomini gridavano: Caniuccio! È tornato Caniuccio!
Non era un sogno, nonno Canio era tornato a Filiano.
Mi ero fatto questa promessa: quando torno a Filiano devo andare da Maria e le devo parlare! Arrivato in paese, la prima persona che ho incontrato è stata proprio vostra nonna. L’ho vista lì alla fontana, ma l’emozione è stata talmente tanta che non sono riuscito a dirle nemmeno una parola.

Nonno Canio e Nonna Maria hanno avuto tempo per parlare ed amarsi, forse non quanto ne avevano desiderato, ma quanto basta per creare una grande famiglia piena d’amore.
Questa è una storia d’amore d’altri tempi ed è la storia dei miei nonni.

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