Un viaggio culturale tra i calanchi: da Albino Pierro a Carlo Levi

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TURSI

Si ritiene che Tursi sia stata fondata nel 410 d.C. dai Visigoti di Alarico: dopo la distruzione della città di Anglona, molti fuggiaschi si rifugiarono sulla collina dove poi nacque il paese. Lì, nel corso degli anni, si sono alternati prima i Bizantini e poi i Longobardi.
Nel 850 d.C. arrivarono i Saraceni, i quali lasciarono profonde tracce nell’architettura e nel dialetto. Durante la loro permanenza, il nascente borgo fu denominato Rabatana, a ricordo del paese arabo Rabhàdi. Poi, nel 890 d.C. i Bizantini sconfissero i Saraceni e rioccuparono il paese. In quel periodo si ebbe uno sviluppo demografico notevole e l’abitato si spostò sempre più verso la valle e prese il nome di Tursi (da Tursikon, il nome del suo fondatore).

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La Rabatana

La Rabatana
La Rabatana – primo nucleo abitativo di Tursi – è situata nel punto più alto del paese ed è circondata da profondi dirupi (i jaramme). Passeggiando in questo vecchio quartiere si possono ammirare le caratteristiche stradine e quello che resta delle umili abitazioni, dove – come raccontava il poeta Albino Pierro – “ci durmìne cch’i ciucce e cch’i purcèlle nda chille chèse nivre com’i fòrchie” (Ci dormivano con gli asini e coi maialetti in quelle case nere come le tane).
Per arrivare alla Rabatana bisogna salire ‘a petrizze, ovvero una scalinata ampia e ripida che si estende oltre 200 metri di lunghezza, a picco sui burroni! In origine, gli scalini erano pietre calcaree non squadrate e incastrate tra loro, inoltre, erano larghi e bassi per consentire il camminamento di persone e animali. Oggi la petrizze è stata ricostruita e – secondo quanto affermano gli abitanti di Tursi – non suscita più le emozioni di una volta.

Albino Pierro e ‘u paàzze
Albino Pierro nasce a Tursi, nel rione Rabatana, il 19 novembre 1916. La sua infanzia fu, subito, segnata dalla morte della madre giovanissima.

Ma iè le vògghie bbène ‘a Ravatène 
cc’amore ca c’è morta mamma mèje: 
le purtàrene ianca supr’ ‘a sègge  cchi mmi nd’i fasce
com’a na Maronne  cc’u Bambinèlle mbrazze. 
Chi le sàpete u tempe ch’e passète… 
e nun tòrnete ancore a lu paàzze.
(Ma io voglio bene alla Rabatana
perché c’è morta la mamma mia:
la portarono bianca sopra la sedia con me nelle fasce
come una Madonna  col Bambinello in braccio.
Chi lo sa il tempo che è passato…
e non torna ancora al palazzo).
Un brano tratto dalla poesia ‘A Ravatène di Albino Pierro

img_5332Questa triste vicenda e l’amore per il suo paese natale saranno le fonti ispiratrici delle sue poesie, conosciute in tutto il mondo. Albino Pierro inizia a comporre poesie in italiano e nel 1946 pubblica la sua prima raccolta. Dal 1959 in poi inizierà a scrivere composizioni solo nell’arcaico dialetto di Tursi, prima di allora mai usato in poesia. Il poeta tursitano è stato più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura e i suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. Albino Pierro è morto a Roma il 23 marzo 1995 e la sua salma è stata sepolta a Tursi, il suo amato paese.
Presso la sua casa natale – che lui chiamava ‘u paàzze – ha sede il “Parco Letterario Albino Pierro”, dove è possibile ammirare la sua biblioteca personale, il suo studio e i dipinti di famosi artisti lucani, che si sono ispirati alle sue poesie per realizzare le loro opere. Inoltre, dal terrazzo della casa di Pierro è possibile godere di una vista privilegiata sui calanchi: dal convento di San Francesco fino al Santuario di Santa Maria di Anglona.

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Il Santuario di Anglona

Santuario di Santa Maria di Anglona
Questo Santuario – situato su un colle a 263 metri sul livello del mare – nel 1931 è diventato monumento nazionale ed è il luogo di culto più significativo della Diocesi di Tursi-Lagonegro. Il 17 maggio 1999, il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha nominato “Pontificia Basilica Minore” a ricordo del Sinodo dei Vescovi. Alcuni studi fanno risalire la Cattedrale di Anglona al XI-XII secolo e la sua struttura, in tufo e travertino, presenta elementi architettonici di notevole importanza: il campanile, l’abside e il portale romanico. La Chiesa è consacrata alla Vergine Maria Santissima, la cui festa ricorre l’8 settembre.

ALIANO

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La casa con gli occhi

“In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso”

Così Carlo Levi descrive Aliano (che nel libro diventa Gagliano), nel suo famoso romanzo Cristo si è fermato a Eboli.
Per fortuna, da allora, molto è cambiato in Basilicata!
Come molti paesi dell’Italia Meridionale, anche Aliano subì il dominio di vari signori: nel 1452 il re Alfonso d’Aragona diede il borgo in feudo a Guglielmo della Marra, successivamente passò ai Carafa, ai Gualard e, infine, ai Colonna, principi di Stigliano.

Il fosso del bersagliere

Carlo Levi nella terra di confino
Medico, pittore, scrittore e poeta, Carlo Levi nasce a Torino il 29 novembre 1902. Nel 1931 si unisce al movimento antifascista di “Giustizia e libertà”, fondato tre anni prima da Carlo Rosselli. Proprio per le sue idee politiche, nel 1935 viene arrestato e condannato al confino in Basilicata, prima a Grassano e successivamente ad Aliano.
È da questa esperienza, che Carlo Levi trae ispirazione per la scrittura del suo romanzo più famoso Cristo si è fermato a Eboli, pubblicato da Einaudi nel 1945. Il libro ebbe un grandissimo successo, tanto che nel 1979, il regista Francesco Rosi realizzò anche un omonimo film.
Passeggiare per Aliano significa rivivere la storia raccontata da Levi: scoprire i luoghi in cui vissero i protagonisti del libro, ricordare le tradizioni e le credenze locali, tra fede e superstizione.
Tra le leggende che mi hanno colpito di più c’è, senza dubbio, la storia del bersagliere piemontese. C’è un punto di Aliano – vicino alla sede del Municipio e alla Casa con gli occhi – in cui si può vedere un profondo burrone chiamato il “fosso del bersagliere”.

Tramonto sui calanchi
Tramonto sui calanchi

Si racconta che un bersagliere piemontese, superstite dalla battaglia di Acinello, fu ritrovato e accolto dalla gente di Aliano. L’uomo iniziò presto ad approfittare dell’ospitalità degli alianesi: mangiava a scrocco e si ubriacava spesso, provocando gli uomini e importunando le donne. Un giorno, gli esasperati contadini, nel corso di un’ennesima lite, lo presero e lo buttarono giù nel burrone, che da quel momento divenne il “fosso del bersagliere”!
Oltre alla Pinacoteca, che ospita venti opere realizzate da Carlo Levi nel 1936, è possibile visitare anche la casa di confino in cui visse lo scrittore.
La casa è completamente vuota, così com’era quando Levi la lasciò nel 1936: in questo modo, il visitatore può rivivere lo stesso senso di vuoto che provò lo scrittore quando ci entrò per la prima volta. C’è una cucina con il camino, la camera da letto, lo studio dove il medico dipingeva e poi una terrazza panoramica.
Da quella terrazza ho visto uno dei più bei tramonti della mia vita.
Che bella la Basilicata!

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