A Filiano la seconda edizione del Riconoscimento Nazionale “Nicola Maria Pace”

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Sabato 30 agosto a Filiano si è svolta la seconda edizione del Riconoscimento Nazionale Nicola Maria Pace, organizzato da Libera Basilicata e Libera Friuli Venezia Giulia, rivolto a tutti i magistrati ed alle forze dell’ordine che si sono contraddistinte nella lotta alle ecomafie e alla tratta degli esseri umani. Il riconoscimento è intitolato al giudice Nicola Maria Pace nato a Filiano nel 1944 e scomparso due anni fa, che fu procuratore prima a Matera e poi a Trieste.
P1010512Un primo riconoscimento è stato consegnato al magistrato Francesco Neri, titolare dell’inchiesta sulle “navi dei veleni”. Dopo aver ricordato il legame professionale e affettivo che lo legava al giudice Pace, ha ripercorso alcune tappe importanti della sua inchiesta. Insieme con lui lavorava il comandante Natale De Grazia, che il 13 dicembre 1995 morì improvvisamente a Nocera Inferiore mentre era in viaggio da Reggio Calabria a La Spezia nell’ambito delle indagini relative al traffico di rifiuti tossici e radioattivi. Le prime perizie dichiaravano che il capitano morì per “cause naturali” in seguito ad un arresto cardio-circolatorio. Ma Neri confessa che né lui, né il giudice Pace credettero mai a questa versione. Infatti, successivamente si scoprì che le cause erano altre, il capitano De Grazia era morto a causa di immunodepressione e immunodeficienza causate da sostanze tossiche presenti nel suo organismo.
Il Magistrato ha spiegato che il traffico dei rifiuti illeciti è una complessa rete di contatti che va dal sud al nord dell’Italia e purtroppo non riguarda solo il nostro Paese. Inoltre, ha tenuto a precisare, che quando si parla di rifiuti non si parla solo di mafia, quest’ultima è solo il servo di altri poteri che vanno dalla politica alla massoneria.
P1010516Il secondo riconoscimento è stato consegnato alla moglie e alla figlia di Roberto Mancini, sostituto commissario di polizia a Roma, morto quattro mesi fa, che ha sacrificato la propria vita facendo il suo dovere fino in fondo, pur conoscendone i rischi. Egli ha indagato per anni, respirando l’aria malsana delle discariche abusive sparse in Italia dal clan dei Casalesi. Già nel 1996 Mancini aveva redatto una dettagliata informativa nella quale spiegava la dinamica dei meccanismi dello smaltimento illecito dei rifiuti. Ma solo nel 2011 si aprì il processo per “biocidio”, ovvero sterminio di massa. Con le sue indagini aveva anticipato il disastro della “terra dei fuochi”, quell’area campana che provoca più morti di una guerra civile. Ma come ha spiegato anche Monika, moglie del poliziotto scomparso, la terra dei fuochi è tutta l’Italia, perché questo è il paese in cui chi cerca la verità viene indagato e ostacolato. Ha spiegato che per rimediare bisogna investire nell’educazione alla legalità già nelle scuole, perché i bambini sono la forza che spaventa la mafia.
Le conclusioni della serata sono state affidate a Don Marcello Cozzi, vice-presidente nazionale di Libera, che ha spiegato che con questo riconoscimento non si vuole celebrare nessuno, ma bensì prendere un impegno e continuare la battaglia che loro hanno iniziato. Perciò, ha concluso Don Marcello «dobbiamo sentirci interpellati nelle nostre coscienze, dobbiamo sentirci incastrati nelle nostre responsabilità. Noi dobbiamo essere i custodi gelosi dei nostri territori e dobbiamo farlo per il sacrificio di Roberto e la memoria di Nicola».
Ed è proprio per la memoria di Nicola Maria Pace, che noi abbiamo chiesto alla figlia Maria Caterina Pace, magistrato che presta servizio a Udine, di ricordare per noi suo padre: «Quasi tutto ciò che so l’ho imparato da mio padre, ma ho imparato da lui anche ciò che non so. Nella vita è importante saper fare alcune cose, magari il maggior numero possibile di cose, ma é anche importante non saperne fare altre. Mio padre mi ha insegnato che è bene, soprattutto, non saper far vanto di ciò che si è e tanto meno di ciò che si ha. La semplicità con cui viveva si accompagnava alla grandiosità della sua capacità di pensare e di raccontare.
Quello che mi manca oggi molto è proprio la possibilità di ascoltare quelle cose che, raccontate da lui, acquistavano un brio difficile da replicare. Che si trattasse di storie o di teoremi giuridici i suoi racconti impedivano una qualunque interruzione, lo si ascoltava apprezzando ogni singola parola e ogni singolo gesto. L’elasticità del pensiero e la semplicità dei modi: questo credo che possa descrivere il suo modo di essere e anche di essere un magistrato. Sempre disponibile, lucido e concentrato, capace di risolvere questioni giuridiche e questioni personali grazie ad una preparazione resa elastica dall’esperienza e ad una spiccata lungimiranza, mio padre era in grado di dare un parere oppure un comando con la stessa autorevolezza e la stessa capacità di persuasione. Di lui oggi mi resta una grande nostalgia che ancora non può essere colmata.»

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