Il giornalismo nell’era dei social

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Il giornalismo nell’era dei social ha ancora senso?

È un argomento su cui mi soffermo spesso a pensare. A volte, presa dalla frustrazione del momento, penso che non sia servito a nulla studiare giornalismo e fare tanta gavetta, perché in fin dei conti tutti possono raccontare una storia. Ma è davvero cosi?
Sono iscritta all’Ordine dei Giornalisti dal 2016 e per ottenere l’abilitazione ho studiato e fatto molta pratica sul campo. Ci sono tante regole di metodo, ma anche etiche e deontologiche da seguire. Durante i corsi di aggiornamento che seguiamo ci vengono ricordate spesso. Poi però, nella pratica di tutti giorni, non sempre queste regole vengono rispettate. Credo che questo accade perché siamo spinti dal desiderio di arrivare per primi alla notizia e fare lo scoop a tutti i costi. Prestiamo tanta attenzione all’aspetto sensazionalistico della notizia e poco alla qualità.

Fake news e disinformazione

I social hanno dato a tutti la possibilità di far sentire la propria voce, tutti possiamo raccontare una storia ed esprimere la nostra opinione. Ci basta uno smartphone e qualche app per fare foto e video anche di buona qualità. Questa è stata una grande rivoluzione: abbiamo la possibilità di approfondire temi più disparati, confrontarci con altre persone e conoscere quello che accade nelle parti più remote del mondo.
C’è, però, anche il rovescio della medaglia. Non tutti gli utenti che popolano i social li sanno usare bene e comprendono appieno i rischi di un uso scorretto di questi mezzi.
Le Fake News nascono e si diffondono così. Si tratta di notizie false, ingannevoli e totalmente inventare diffuse con l’intento di manipolare la percezione della verità spesso per fini politici o economici. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale si sono diffusi anche i Deep Fake, ovvero contenuti audiovisivi manipolati in cui persone sembrano dire o fare cose mai avvenute nella realtà.
Per non parlare, poi dell’odio e delle offese che migliaia di utenti subiscono ogni giorno da altre persone.

giornalismo

Esiste una soluzione?

Come ci si difende da tutto questo? La risposta è semplice: affidandoci a dei professionisti.
Noi giornalisti prima di pubblicare una notizia siamo tenuti a verificare l’attendibilità delle fonti e la veridicità dei fatti, ascoltare le parti coinvolte, rispettare la privacy, tutelare i minori nel caso siano coinvolti e tutta una serie di altre regole. Tutto questo per garantire al destinatario una notizia di qualità e degna di nota.
Una delle cose che mi ripeto sempre quando racconto una storia è che dietro ad essa ci sono delle persone, delle vite. Il nostro principale strumento di lavoro sono le parole che hanno un grande potere, per questo è molto importante usarle bene. Una parola o una frase detta male e usata a sproposito può ledere la dignità di una persona. Con le parole che usiamo per raccontare possiamo influenzare l’opinione di chi legge la storia e orientare il suo pensiero. Spesso ci dimentichiamo di quanto potere abbiamo e lo usiamo male.
Tornando alla domanda di partenza: il giornalismo nell’era dei social ha ancora senso?
Direi proprio di sì, anzi è fondamentale soprattutto in un’epoca come quella appena descritta. 
Possiamo scegliere che tipo di giornalista vogliamo essere, come lavorare e per cosa vogliamo essere riconosciuti. Attraverso il nostro lavoro possiamo far emergere quelli che sono i valori che ci guidano ogni giorno nella scelta delle giuste parole. Questo implica che non piaceremo a tutti, ma va bene cosi perché piacere a tutti in fin dei conti significa non piacere a nessuno.

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