La trilogia delle favole impegnate

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Dopo le avventure tra I sentieri dei nidi di ragno, continua il mio viaggio tra le opere di Italo Calvino. O meglio, da quella che mi piace definire la trilogia delle favole impegnate: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959), raccolti nel 1960 nel volume dal titolo I nostri antenati. In queste opere è evidente il legame tra fantasia e realtà, la favola è usata come strumento per raccontare la società, con i suoi pregi e difetti.

Negli anni cinquanta Italo Calvino coltiva un particolare interesse per le fiabe popolari e inizia una riflessione teorica alimentata, in particolare, dai testi dello strutturalista tedesco Vladimir Propp che iniziano ad arrivare in Italia proprio in quel periodo. Chiunque abbia studiato all’università Semiotica del testo, avrà di certo avuto a che fare con la sua opera più importante: Morfologia della fiaba (1928). Calvino, dunque, sceglie di dare alle sue opere una struttura narrativa in cui si rappresenta non tanto la realtà, quanto le prove che in essa l’uomo è chiamato a superare.
Ho scelto di raccontare queste opere in modo diverso, utilizzando una creatività che andasse oltre le parole, scritte e parlate. Perché la creatività è tante cose e in questo periodo le sto dedicando un po’ del mio tempo, ottenendo dei risultati sempre migliori. Ho scoperto che dentro di me c’è sempre stata una persona creativa, chi lo avrebbe mai detto!
Per ognuno di questi libri ho realizzato un lavoro creativo, per raccontare e descrivere i diversi temi trattati dall’autore. È stato un esercizio stimolante e divertente.

Il visconte dimezzato

Il visconte dimezzato

Il visconte Medardo di Terralba colpito in pieno petto da una palla di cannone durante la guerra in Boemia contro i Turchi, si ritrova dimezzato in due parti, una cattiva e una buona, ma tutte e due ugualmente fastidiose.
L’allegoria del romanzo è molto chiara: nell’uomo il bene e il male sono ugualmente presenti e in continuo conflitto tra loro, ma in qualche modo quando sono insieme (nello stesso corpo) si bilanciano… almeno così dovrebbe essere, si spera!
L’intenzione di Calvino è di riflettere su temi complessi come l’infinita lotta di equilibrio tra bene e male, giusto e sbagliato, attraverso una narrazione divertente, surreale e grottesca. Tutti i personaggi del romanzo esprimono un’ambiguità di fondo, che rende anch’esse figure allegoriche che appaiono dimezzate, incomplete e alienate: i lebbrosi sono gli artisti decadenti, mentre il dottor Trelawney e mastro Pietrochiodo rappresentano la scienza e la tecnica separate dall’umanità.

Il barone rampante

Il barone rampante

Senza dubbio questa, fra le tre, è la storia che mi è piaciuta di più.
Il barone rampante narra la vita del nobile Cosimo Piovasco di Rondò, il quale in segno di protesta verso le regole imposte dal suo rango, dalla famiglia e dalla società, all’età di 12 anni decide di andare a vivere sugli alberi dei quali è ricca la città di Ombrosa, dove vive.
Il giovane barone terrà fede alla sua insolita e difficile scelta di vita e non scenderà mai più sulla terra.
Quante volte ci siamo detti stufi delle convenzioni? Tutte quelle formalità vuote di significato, quei saluti di convenienza e quelle cose che si fanno “perché è giusto così” o “perché si è sempre fatto così”. Ebbene, Cosimo ha detto basta a tutto quello in cui non credeva e ha deciso di andarsene e, devo ammettere, che in alcuni momenti l’ho invidiato un po’: il suo coraggio, la sua forza di volontà nel riuscire a gestire questa scelta di vita estrema e il fatto che non si curasse di cosa dicesse o pensasse di lui la gente del villaggio.
Il barone rampante è un intellettuale solitario che però non fugge le altre persone, ma al contrario, segue dall’alto le vicende degli uomini che vivono sulla terra ferma; partecipa alla cultura e alla politica del Settecento (il suo secolo); conosce l’amicizia e l’amore, infine incontra interessanti e strani personaggi. Cosimo, inizialmente deriso dalla sua gente, verrà presto stimato perché in grado di vedere le cose dall’alto (in tutti i sensi) e può esprimere giudizi obiettivi.

Il cavaliere inesistente

Il cavaliere inesistente

Protagonista di quest’ultimo racconto è il prode e valoroso cavaliere Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez.
Per gli amici Agilulfo (non ho resistito!)
Un cavaliere tanto bravo sul campo di battaglia, ma allo stesso tempo tanto ingenuo da esistere senza sapere nulla della propria esistenza. Agilulfo è uno che c’è senza esserci, l’apparenza a cui non corrisponde nulla di esistente: egli è il ruolo che ricopre, niente di più.
Agilulfo è la metafora della nostra società: una società sempre più astratta dove gli individui e la loro essenza sono spesso cancellati dalle convenzioni, dai titoli, dai ruoli e dai lavori che svolgono. Oggi siamo spronati a muoverci sempre, a volte senz’avere una meta precisa, dobbiamo diventare “qualcosa”. Questo desiderio di essere definiti e definibili, alla fine ci svuota di quello che siamo davvero, della nostra identità. Come spiega lo stesso Calvino, Il cavaliere inesistente è la storia dei vari gradi dell’esistenza dell’uomo e del rapporto tra come si percepisce lui e come, invece, lo vedono gli altri.

Con questa trilogia Calvino ha ritratto la figura dell’uomo con i suoi pregi e difetti e, in particolare, dell’intellettuale del suo tempo, ma aggiungerei anche del nostro!

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