“Lo Sciuscià”: intervista a Marica Pace

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foto: Domenico Costantini

EXIT è una rassegna di teatro, musica e danza nata nel 2009 per volere della Fed.It.Art. (Federazione Italiana Artisti) e quest’anno è arrivata alla nona edizione. Lo scopo principale di questa rassegna è quello di dare agli spettacoli che ne fanno parte una riconoscibilità artistica nel variegato panorama teatrale, la sua forza è la capacità di raccogliere realtà differenti ma con simili difficoltà nel trovare spazio per andare in scena.
Tra i vari concorsi promossi, rientra “Cortinscena”, che da la possibilità a giovani attori e registi di portare in scena opere inedite, dopo un’attenta valutazione tecnica da parte di una giuria composta da importanti nomi del teatro.
Tra i cinque finalisti di quest’anno c’è “Lo Sciuscià” di Marica Pace, monologo di narrazione che andrà in scena martedì 22 novembre al Teatro dell’Orologio di Roma, alle ore 21:00. Marica Pace nel 2013 si laurea in lingue presso l’Università di Bari e, nello stesso anno inizia gli studi presso l’Accademia EUTHECA (European Union Academy of Theatre and Cinema) di Roma. Ora, sempre nella Capitale, sta per concludere la specialistica in lingue.
Ma di cosa parla “Lo Sciuscià”?
E come nasce la sua passione per il teatro?
Me lo sono fatto raccontare da lei!

Com’è stata la tua esperienza in Accademia?
EUTHECA è un’accademia d’arte drammatica, che mi ha formata e alla quale devo molto. L’Accademia è arrivata in un momento particolare della mia vita e mi ha dato tanto, perché è una scuola che offre una formazione completa: abbiamo studiato teatro di prosa, teatro in versi, teatro di narrazione, musical, lettura drammatica per radio, ma anche cinema. Ci siamo specializzati davvero in più settori. Inoltre, la nostra è stata una formazione anche da un punto di vista fisico, con l’acrobatica, il movimento scenico. Per non dimenticare la recitazione in inglese, che è anche il motivo per cui ho scelto questa accademia.

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foto: Domenico Costantini

Come nasce la tua passione per la recitazione?
Questa mia passione nasce un po’ di tempo fa: a 12 anni ho deciso di fare l’attrice e quando l’ho detto alla mia famiglia, per poco mio padre non ci rimaneva secco! Ho sempre amato in particolare il teatro. Quando ero piccola mi portarono a teatro e non dimenticherò mai la prima impressione che ho avuto. Ricordo il rosso del sipario – che poi è il mio colore preferito – la sala buia, perché lo spettacolo stava già per iniziare e, ad un certo punto, sono arrivati gli attori sulla scena tutti illuminati. Mi è piaciuto troppo quando li ho visti lì che luccicavano e a quel punto ho pensato: voglio andare io lì! Perché non farlo!
Poi anche a scuola – per questo devo ringraziare le mie insegnanti delle scuole elementari di Filiano – abbiamo fatto tante belle rappresentazioni e ricordo che una volta ho interpretato la parte di Petronilla
(ride, nda) mi sono divertita da morire! La cosa bella che mi succede ancora adesso quando recito, è che una volta finito poi non ricordo bene cos’ho fatto… c’è una specie di epifania che succede in me! Però mi sono informata e mi hanno detto che questa cosa è del tutto normale!

Cosa provi quando sali sul palcoscenico?
Eh, è una domanda difficile… È complicato da spiegare a parole, perché bisogna viverlo. Se è una cosa che piace ed appassiona, salire sul palco è il momento più elettrizzante. Io preferisco il teatro, perché hai il pubblico lì e – per quanto si provi a recitare sempre allo stesso modo – ogni sera è diversa, anche in base al rapporto che instauri con il pubblico. È tutta una questione di elettricità!

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foto: Domenico Costantini

Si sente molto la presenza del pubblico, mentre si recita?
In realtà per ogni attore è diverso. Ci sono alcuni attori che preferiscono alienarsi totalmente per concentrarsi ed evitare di essere mandati fuori pista dal pubblico. Per me, invece, è proprio il contrario. Io con il pubblico instauro una relazione che me lo fa sentire più vicino. Dopotutto, il pubblico è lì e respira con te.

Se tu potessi scegliere un ruolo da interpretare, in una famosa opera teatrale, quale sceglieresti?
Senza dubbio Filumena Marturano. Chissà, magari un giorno… Per ora, se si facesse una versione al femminile di Iago, tratto dall’Otello, non mi dispiacerebbe affatto poterlo interpretare! Altrimenti anche Desdemona può andare!

Tornando al tuo monologo “Lo Sciuscià”. Di cosa si tratta?
“Lo Sciuscià” è un progetto importante, di cui ho scritto, interpretato il testo e l’ho messo in scena. Ho avuto la necessita di raccontare questa storia, per scuotere un po’ le coscienze. Spero di riuscire a fare questo con il mio monologo. Il protagonista è Leonardo. Il nome non l’ho scelto a caso, perché è il nome di un mio parente che è emigrato tanti anni fa in America. Dunque, agli inizi del ‘900, Leonardo si trova a dover partire per l’America e io racconto la sua storia: la partenza, il viaggio e l’arrivo. Inoltre, nel monologo c’è anche qualche riferimento all’attualità e alla situazione degli immigrati di oggi.
“Lo Sciuscià” rientra nella rassegna “EXIT – cortinscena” e sono molto felice e orgogliosa di essere stata selezionata tra i 5 finalisti dell’edizione di quest’anno. Lo spettacolo andrà in scena la sera del 22 novembre prossimo al Teatro dell’Orologio di Roma.

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foto: Domenico Costantini

Dunque, il tuo possiamo definirlo un sogno che sta diventando realtà?
Diciamo che è presto per dirlo, mi hanno detto che la gavetta dura tra i 10 e i 15 anni! Però diciamo che io ce la metto tutta e passo dopo passo, chissà! Non bisogna desistere, perché in realtà sta tutto lì! Si dice che “uno su mille ce la fa”, ma in realtà è l’unico che non ha desistito!

Stai lavorando a qualche altro progetto?
Sì, ci sono degli altri progetti che bollono in pentola: alcune collaborazioni con compagni di studio, progetti singoli e poi sto aspettando risposte da produzioni cinematografiche e televisive. Mi piacerebbe anche poter tornare a casa, a Filiano, e magari un giorno riuscire a realizzare qualche progetto anche qui!

Bè, allora buona fortuna! Cosa si dice in questi casi?
“Tanta merda!” Non ti offendere (ride, nda) ma si usa dire così. In passato il pubblico usava andare in teatro in carrozza. La presenza di molto pubblico e quindi di molte carrozze, comportava anche la presenza di molti escrementi lasciati dai cavalli da traino. Più erano abbondanti gli escrementi di cavallo davanti al teatro dopo lo spettacolo, tanto maggiore era stato il successo di pubblico!

Allora “merda, merda, merda!” 😉

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