Cecilia Mangini: il cinema dei luoghi, del lavoro e delle donne

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alice“When I use a word”, Humpty Dumpty said, in a rather scornful tone, “it means just what I choose it to mean – neither more nor less”. “The question is”, said Alice, “whether you can make words mean so many different things”. “The question is”, said Humpty Dumpty, “which is to be master – that’s all”.
cit. Lewis Carroll, “The Annotated Alice”

Un anno fa, in questo periodo, ero impegnata con la scrittura della mia tesi di laurea in storia del cinema, dal titolo Attraverso lo “specchio”: la donna nel cinema, dentro e fuori il linguaggio degli uomini.
Intere giornate – spesso anche nottate – passate davanti al Mac tra litri di caffè, film e libri.
Se ripenso a quei mesi, però, mi ritrovo a sorridere: ricordo ancora l’ansia che mi prendeva quando ricevevo le email con le correzioni della mia cara Professoressa Manuela Gieri 😛

«What happens, I will ask, when woman serves at the looking-glass held up to women?»
cit. Teresa De Lauretis, “Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema”

La società contemporanea è indubbiamente di tipo patriarcale e la donna, come una moderna Alice nel Paese delle meraviglie, deve continuamente farsi strada attraverso il labirinto di ostacoli e di pregiudizi che la società le impone da sempre.
Il mio obiettivo principale era quello di approfondire il rapporto tra il cinema e le donne, perciò per farlo mi sono posta una domanda:
Cosa accade quando una donna realizza un film? O meglio, una regista racconta una storia in modo diverso rispetto a come la racconterebbe un uomo?
Per capirlo, ho analizzato le opere di due importanti registe italiane: Cecilia Mangini e Liliana Cavani.
Naturalmente, non potevo sintetizzare la mia intera tesi in questo post!
Perciò, questa settimana vi descriverò qual era la condizione delle donne nell’Italia degli anni ’60, attraverso il documentario Essere Donne di Cecilia Mangini.
La prossima settimana, invece, vi parlerò di come, per Liliana Cavani, la donna non è mai semplicemente una vittima, ma può essere anche «un soggetto indipendente che, senza remore e risparmio, porta avanti una sperimentazione di sé e del mondo». Cit. E. TROIANELLI, “Liliana Cavani e la critica femminista”


 

Ritratto di Cecilia Mangini
Ritratto di Cecilia Mangini

Essere donne è un lavoro che la Mangini realizza attraversando l’Italia da nord a sud, per raccontare la condizione lavorativa delle donne dell’epoca. Il film inizia con immagini di dive e donne bellissime che compaiono sulle copertine di riviste patinate.
La voce fuori campo commenta:

Chi può riconoscersi in queste immagini? Non i 6.000.000 di donne che in Italia lavorano nella produzione. Non i milioni di donne che restano a casa legate alla fatica domestica. Non queste ragazze di 14/15 anni che lavorano in un panificio pugliese.

Con questo documentario, Cecilia Mangini riesce ad entrare con la macchina da presa in una fabbrica del nord Italia. Al tempo, questa era un’impresa ardua, nella quale la regista riuscì grazie al PCI (Partito Comunista Italiano), che le commissionò la realizzazione del film. La Mangini riuscì a registrare i suoni, il rumore dei macchinari, il ticchettio degli orologi dei “tempisti”, ma soprattutto, le voci e le testimonianze delle lavoratrici.
Mentre scorrono le immagini della catena di montaggio di una fabbrica del Nord, un’operaia dice:

Faccio più di 1.000 saldature all’ora […] ma quando arriva il tempista ci prende la paura che ci tagliano ancora i tempi o che ci vogliono licenziare. Siamo al limite, non c’è più margine. Sono sempre gli stessi gesti calcolati al decimo di secondo e dopo otto ore andiamo a casa rotte, le ossa non ce le sentiamo più. Non ci rendiamo conto che moriamo venti anni prima.

image_previewDalla fabbrica, la macchina da presa si sposta nei campi del sud Italia, dove le braccianti, pur lavorando senza sosta e con tanta fatica, ricevono una paga ingiusta. In questo le donne sono trattate come gli uomini, con la differenza – come fa notare il commento fuori campo – che sulle donne cade anche il peso di subordinazioni antiche e tradizionali. Vengono mostrate le donne inginocchiate a raccogliere le olive, mentre guardano la torre della fabbrica lì vicino: l’unica speranza di progresso è di sottrarsi al rapporto patriarcale con la famiglia e con l’uomo andando in fabbrica. Ci sono le bambine costrette a crescere in fretta e a lasciare la scuola per badare ai fratelli più piccoli, ma ci sono anche le donne che non avendo nessuno a cui lasciare i propri figli, sono costrette a licenziarsi per dedicarsi esclusivamente al lavoro domestico.

«Quale ricompensa ricevono le donne per la perduta libertà di scegliersi un lavoro? Gli ipocriti rispondono: le gioie della famiglia», commenta la voce fuori campo.
Il documentario si conclude, però, con un messaggio positivo. Le donne, nonostante le enormi difficoltà che sono state loro imposte dalla vita, continuano a lottare: le donne difendono le fabbriche insieme agli operai, si battono contro l’arretratezza del meridione insieme ai braccianti, e accorrono lì dove si manifesta contro i pericoli della guerra. Le donne hanno una grande forza, ma dovrebbero capire che la loro liberazione può avvenire solo in una società nuova, dove lo sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti.

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