Filiano: una preziosa riserva antropologica

Tempo di lettura: 2 minutiTempo di lettura: 2 minuti

chiesaLa Valle di Vitalba, grazie alle sue caratteristiche geografiche, fu una terra abitata già dalla preistoria e ne sono una testimonianza le antiche pitture rupestri, risalenti a circa 12.000 anni fa, preservate presso la riserva antropologica “I Pisconi” a Carpini di Filiano.
Nel XII secolo, sotto i regni dei normanni Guglielmo I e Guglielmo II (1154 – 1169) sorsero i feudi di Agromonte, Armaterra, Lagopesole, Montemarcone, Rapone, San Fele, Monticchio e Vitalba. Il feudo di Agromonte, in particolare, come si attesta in un documento del 9 giugno 1152, fu una delle parrocchie della Valle di Vitalba incluse nella giurisdizione del vescovo di Rapolla.
Nel corso del XIII secolo ci fu il declino dell’intera valle, perciò gli abitanti di Agromonte, per sfuggire a guerre e saccheggi, abbandonarono le loro abitazioni e si trasferirono verso Atella, per riunirsi in un centro abitato comune. Giustino Fortunato scrisse: «più di cinquanta altri paesi di Basilicata venivano, intorno a quel tempo, abbandonati e fatti deserti per sempre. Nei primi cinquant’anni della dinastia angioina, gli abitanti della provincia scemarono di un settimo da centodue a ottantotto mila».decorazione
Oggi è possibile ammirare i resti della antica città medioevale di Acermontis, visitando la riserva antropologica “Agromonte Spacciaboschi”, istituita dallo Stato nel 1972.
Si accede al sito partendo dalla fontana nota con il termine dialettale di Sparciavosc, situata sulla strada provinciale Iscalunga-Dragonetti, poco prima di arrivare all’abitato di Scalera. Da lì, seguendo il sentiero tracciato, dopo circa 500 metri di camminata si arriva ai resti di quella che era un’antica chiesa e lo si capisce dalla forma del perimetro dell’edificio e dalle decorazioni sulle pietre lapidee. Tornando indietro sul sentiero principale, pochi metri più avanti si trovano i resti di un palazzetto signorile e di una enorme vasca composta da numerosi massi di arenaria. Si tratta dei caratteristici “Palmenti”: incavati nella parte superiore hanno un buco di scolo e in diversi casi, nella parte inferiore, una vaschetta supplementare di raccolta. Alcuni ipotizzano che essi dovessero servire per la pigiatura dell’uva, visto che la coltivazione principale dell’epoca era il vigneto; altri, invece, sostengono che fossero una sorta di altari che i popoli lucani usavano per eseguire riti solenni per propiziarsi gli dei nel periodo in cui i loro lavori campestri si intensificavano e per assicurarsi una raccolta abbondante.
Ricordiamo che è possibile effettuare escursioni e visite guidate, facendo richiesta al Corpo Forestale dello Stato che si occupa del controllo e della gestione della riserva antropologica.

Share Button